#VocediComunità per la rigenerazione urbana – #futuro

Qual è il filo rosso che lega le comunità e il #verde, il #lavoro, la #prossimità, la #diversità, la #cultura? È il cambiamento.

Ce lo ha raccontato Flaviano Zandonai, Innovation manager del Gruppo cooperativo CGM, che ha affrontato il tema del #futuro al bootcamp #VocediComunità per la rigerenazione urbana.

Perché le comunità sono oggi veri e propri agenti del cambiamento, e sono le uniche in grado di aiutare le istituzioni ad affrontare sfide, come quelle riassunte negli obiettivi di Sviluppo del Millennio dell’ONU, che non possono essere rinviate. Ma come? Facendo leva sulla ciò che più le contraddistingue: la diversità.

Perché “la differenza è l’elemento di valore del vivere insieme che consente di fare nuova economia e costruire una nuova società”. E solo le comunità sono in grado di processare la diversità perché “si fanno carico di coinvolgere non solo le persone che si assomigliano ma anche quelle che hanno visioni diverse, trasformando queste differenze in valore comune”.

#VocediComunità per la rigenerazione urbana – #lavoro

Il lavoro è uno degli elementi cardine di ogni comunità. Per questo #lavoro è stata una delle parole chiave del bootcamp #VocediComunità per la rigenerazione urbana.

Ma qual è la relazione tra lavoro e comunità? E cosa si intende con lavoro sostenibile?

Roberto Mascali di Umana ha provato a spiegarcelo citando Primo Levi che ricorda come la migliore approssimazione della felicità sulla terra sia amare il proprio lavoro.

La comunità – ci ha detto Mascali – è il luogo dove queste esperienze individuali di amore e realizzazione attraverso il lavoro si incontrano”.

E la realizzazione attraverso il lavoro è il primo elemento necessario affinché il lavoro sia sostenibile.

Insieme ad altri 4:

    • legalità
    • sicurezza
    • inclusione
    • formazione

Guada il video completo dell’intervento di Roberto Mascali.

VOCE e CSV Milano al Social Innovation Campus 2021 con una challenge sulle comunità del futuro

Si intitola Time machine: re-imagine communities  la challenge promossa da CSV Milano – VOCE nell’ambito dell’hackaton del Social Innovation Campus 2021, che si svolgerà il 3 e 4 febbraio 2021.

I ragazzi che si sono iscritti nelle scorse settimane alla competizione organizzata dalla Social Innovation Academy di Fondazione Triulza dedicata ai temi “Città e Innovazione Sociale e Ambientale” saranno al lavoro già dalla prossima settimana per progettare la loro comunità del 2050.

A partire da due casi concreti, l’area di Porta Nuova e quella di MIND – Milano Innovation District, saranno chiamati a definire un progetto (obiettivi, azioni, risultati, sostenibilità) che, intervenendo su uno o più aspetti particolarmente impattanti, contribuisca a costruire la loro comunità del 2050 e realizzare la loro visione.

L’hackaton coinvolgerà 20 team, formati da studenti della stessa classe o da un gruppo di studenti di interclasse del 4° e 5° anno delle Scuole Secondarie di II grado e del 4° anno dei corsi leFP e percorsi IFTS, di tutti gli indirizzi.

Il 3 dovranno già presentare una prima versione dei progetti dedicati alle challenge che hanno scelto. Avranno poi 24 ore di tempo per lavorare alla versione definitiva che sarà valutata da un’apposita giuria il 4 febbraio.

Sul nostro sito e sui nostri canali social racconteremo tutti i progetti dedicati alla challenge Time machine: re-imagine communities per capire qual è la comunità per la quale i teenagers di oggi-adulti di domani sono disposti a mettersi in gioco.

Per info sul Social Innovation Campus 2021: www.sicampus.org

#VocediComunità per la rigenerazione urbana – #verde

Cosa sono le comunità verdi?

Qual è il ruolo del paesaggio nel rendere le nostre comunità più vivibili?

Lo abbiamo chiesto ad Andrea Balestrini, Direttore del LAND Research Lab, in occasione del bootcamp #VocediComunità per la rigenerazione urbana.

“Lavorare con la natura significa ristabilire una scala umana nelle nostre città. (…) Il verde urbano è una componente fondamentale nel progettare comunità resilienti e vivibili perché consente di migliorare il clima ma anche il benessere di chi le abita. E la partecipazione dei cittadini è uno dei fattori chiave nel successo di questi progetti”.

Tre esempi concreti:

  • Piazza Gae Aulenti a Milano, oggi punto di incontro integenerazionale.
  • Krupp Park a Essen, un progetto di rigenerazione urbana che è diventato una comunità verde.
  • Parco del Lura a Lomazzo, una comunità verde per 4 comuni e uno spazio che protegge la città dalle esondazioni.

Guarda il video completo dell’intervento di Andrea Balestrini

 

#VocediComunità per la rigenerazione urbana

Giovedì 3 dicembre alle ore 10.00 on line sulla pagina Facebook di VOCE il bootcamp dedicato ai ragazzi delle scuole superiori in preparazione del Social Innovation Campus 2021.

Cultura, sostenibilità, volontariato, diversità. Sono alcuni dei tanti aspetti attraverso cui si costruisce e si definisce una comunità.
Come si traducono in termini concreti, in azioni, nel vissuto di una comunità?

Questi i temi al centro del bootcamp #VocediComunità per la rigenerazione urbana dedicato ai ragazzi delle scuole superiori che si svolgerà il 3 dicembre dalle ore 10.00 alle ore 11.00 in diretta Facebook e YouTube.

Si tratta del primo evento che avvia la collaborazione tra Fondazione Triulza e CSV Milano, impegnati entrambi sui temi dell’innovazione e del cambiamento nel contesto di due grandi iniziative per il futuro di Milano: rispettivamente Triulza con MIND, nell’ex area Expo, e CSV Milano con VOCE, nel quartiere di Porta Nuova.
Entrambi ambiscono ad essere luoghi di confronto, dialogo e collaborazione tra istituzioni, Terzo settore, società civile, imprese profit e cittadini impegnati a costruire la città smart e inclusiva.

In particolare VOCE, il futuro centro del volontariato e dell’impegno civico di Milano, nonostante architettonicamente sia ancora un cantiere in costruzione con calce e mattoni, è già attivo con i suoi ‘Cantieri Sociali’, per creare dibattito, fare cultura e dare gambe a progetti, ben prima dell’apertura dell’hub prevista per fine 2021.
Il bootcamp è quindi la prima occasione del Cantiere Sociale dedicato ai giovani come ‘costruttori’ della comunità di oggi e di domani.

Ha come scopo fornire temi, testimonianze e strumenti di approfondimento alle classi di studenti interessate a partecipare alle attività del Social Innovation Campus 2021, l’evento promosso da Social Innovation Academy in MIND di Fondazione Triulza che si svolgerà il 3 e 4 febbraio 2021.

Al centro della discussione del bootcamp sarà l’importanza del coinvolgimento attivo dei cittadini e di un approccio alla sostenibilità sociale e ambientale nel successo di progetti di sviluppo e di rigenerazione urbana, proprio a partire dai casi di VOCE a Porta Nuova e MIND Milano Innovation District.

Il programma

Introduce: Paolo Petracca, Vicepresidente di Fondazione Triulza
Conducono: Marta Moroni, Responsabile Comunicazione CSV Milano e VOCE-Volontari al Centro, e Jacopo Angelo Spanò, giovane volontario da anni impegnato sui temi della marginalità.

#VocediComunità:
1. #comunità #verde – Andrea Balestrini, Direttore LAND Research Lab
2. #comunità #cultura – Marisa Parmigiani, Head of sustainability and stakeholder management Unipol Gruppo
3. #comunità #lavoro – Roberto Mascali, relazioni esterne Umana
4. #comunità #prossimità – Omar Degoli, volontario Social Street ISOLA – Vita Nel Quartiere Lilla
5. #comunità #diversità – Matteo Bruschera, responsabile dei progetti sociali PlayMore!
6. #comunità #volontariato – Giuseppe Failla, consigliere CSV Milano e vicepresidente US Acli
7. #comunità #futuro – Flaviano Zandonai, innovation manager Gruppo cooperativo CGM e membro del comitato scientifico della Social Innovation Academy

#comunità: “Il Parco in MIND: connettere temi, territori e progetti di sviluppo urbano” – Nadia Boschi, Head of Sustainability Italy & Continental Europe e Giulia Bonisoli Denza, Public Realm Development Manager Lendlease

 

La partecipazione è gratuita e aperta a tutti.

Il bootcamp si rivolge alle classi di studenti delle scuole superiori di II grado, FP e IFTS che potranno decidere se considerare la partecipazione all’evento tra le ore di formazione previste dai percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento (ex alternanza scuola-lavoro).
Per le scuole è prevista la registrazione a questo link: https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSfl9tMt9Xro_CatBQHJAwfsJ3ulvZ2muCfDT7nHnO5LoOWNgQ/viewform?gxids=7757

Per informazioni: fondazionetriulza.orgcantieri.sociali@voce.milano.it

.

Sette sfide per ripensare la comunità che vogliamo essere

Ai cittadini è stato chiesto (e imposto con doverose norme restrittive) il cosiddetto “distanziamento sociale” utile per preservare la salute di tutti. In realtà abbiamo capito che, se da un lato occorre tutelare il “distanziamento fisico” ai fini sanitari, dall’altro occorre potenziare l’”avvicinamento sociale”, la “prossimità” tra le persone per irrobustire (e talvolta ricostruire) i legami sociali nella comunità locale e nelle microcomunità dei quartieri e degli isolati perché in questi mesi sono state messe a dura prova. Siamo persone singole, che si nutrono e vivono nella dimensione comunitaria e che è necessaria e vitale per tutti.

Diverse persone hanno sostenuto che nel prossimo futuro nulla sarà come prima, altri più cinicamente hanno pronosticato che non cambieremo poi molto. Credo invece che, a fronte delle tre emergenze sanitaria, economica e sociale che stiamo vivendo contemporaneamente, abbiamo la possibilità di ripensare (e quindi riprogettare) quale comunità vogliamo essere.
È una grande opportunità quella che abbiamo perché molti singoli, famiglie, quartieri, città, regioni e perfino nazioni hanno capito che nessuno può pensare di salvarsi da solo.
È un’operazione a forte valenza democratica perché, per essere affrontata, non può essere delegata solo a qualcuno, ma necessita la raccolta di tutti i cittadini di buona volontà e le organizzazioni da loro costituite (associazioni, cooperative, fondazioni, …), in una sorta di “chiamata partecipativa” alla costruzione del bene comune superando appartenenze, ideologie, primogeniture.

Insieme a queste organizzazioni di cittadini, gli enti pubblici devono esercitare il proprio ruolo di supporto nel governo della regia istituzionale e le imprese private devono sempre più praticare la propria funzione economica nella dimensione della responsabilità sociale.
Solo il sapiente gioco di squadra tra primo, secondo e terzo settore permetterà il coinvolgimento attivo e responsabile anche dei singoli cittadini, liberando così energie e creatività. La strategia deve essere quella di “essere estrattivi” nel senso di tirar fuori il meglio dai vari mondi a favore della comunità intera e di essere innovativi nella dimensione della sostenibilità in carenza di risorse.

Il volontariato milanese ancora una volta è stato presente e, nonostante le difficoltà, non si è tirato indietro: da una ricerca condotta dai CSV lombardi in corso di ultimazione ben il 55% del campione degli Enti di Terzo settore del territorio metropolitano ha organizzato attività specifiche in risposta all’emergenza, il 26% continuando le proprie attività ordinarie e il 74% aggiungendo o facendo attività nuove; solo il 21% ha interrotto le proprie attività.
Come abbiamo raccontato negli articoli del sito le attività sono state realizzate in autonomia, ma soprattutto in collaborazione con i Comuni, altre Associazioni, Parrocchie, Protezione Civile, ATS e anche con i CSV e le Imprese produttive e commerciali.
A fronte di questa ricchezza di presenza, ora il volontariato e tutto il Terzo settore, nella conclamata “società del rischio”, deve cominciare a darsi alcune piste di lavoro per la ripresa post crisi sanitaria ed economica rivendicando il proprio ruolo essenziale di “autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà” previsto dall’articolo 118 della Costituzione, ma anche nei processi di collaborazione con le istituzioni (e le imprese) nella definizione delle politiche locali.

In queste giornate ho raccolto numerosi stimoli nel dibattito interno a CSV Milano ed esterno, grazie ai quali inizio a suggerire alcune sfide e relative prime proposte da approfondire, utili per guardare al domani:

  • sempre dalla citata ricerca la principale problematica che gli ETS hanno rilevato nella cittadinanza è la solitudine di tante persone, non solo anziane. La socialità è un bene primario che va ancor più riconosciuto, facilitato e valorizzato. È uno dei collanti della comunità perché fruito collettivamente e non solo individualmente. Dobbiamo essere sempre più consapevoli dell’importanza non secondaria nella costruzione della coesione sociale, indispensabile nel costruire fiducia, relazioni e legami tra le persone (e tra queste e le istituzioni). Nel ricucire socialità siamo quindi costruttori di democrazia;
  • le problematiche rilevate, a seguire con maggior frequenza, sono l’aumento della povertà, la difficoltà nella gestione domestica e finanziaria, l’insorgenza di casi di depressione. In una società più coesa deve essere posto al centro il garantire l’inclusione di soggetti deboli cercando di ridurre le diseguaglianze. Occorre trovare rinnovate forme di intervento per essere vicini, prestare attenzione e cura ai più deboli che possono essere doppiamente esposti ai rischi sanitari, perché spesso meno informati e più isolati: i senza fissa dimora, gli immigrati, anziani, disabili, malati psichiatrici, carcerati, … Vanno investite risorse progettuali, economiche e materiali per non lasciare indietro nessuno;
  • la principale difficoltà incontrata in questi mesi segnalata dagli ETS nell’indagine è la carenza o mancanza di volontari a causa dell’impossibilità di impiegare i più anziani. In realtà la diponibilità di giovani e adulti è stata rilevante: solo nella città di Milano oltre 1.200 cittadini si sono proposti spontaneamente al Comune e CSV ha raccolto oltre 500 candidature nelle call aperte ad hoc a favore di 13 associazioni nell’ambito della piattaforma Volontari Energia per Milano. Il senso civile e solidale nella città metropolitana c’è, abbondante. Quello che dobbiamo imparare è come avvicinare queste disponibilità, come accompagnarle e sostenerle, come organizzarle rispettando interessi, tempi e caratteristiche peculiari. È una grande sfida per le organizzazioni accogliere il volontariato individuale per sua natura fluido e mobile;
  • il 50% dei soggetti rispondenti prevede la diminuzione delle entrate maggiore del 50%; il 42% ha convenzioni con enti pubblici, il 36% ha tutte le proprie attività in convenzione o accreditamento. In queste settimane sono apparse più in difficoltà le organizzazioni che hanno “monocomittenze”. Forse dovremmo accrescere la capacità di essere non solo multistakeholder ma anche avere una forte diversificazione delle entrate: non solo entrate pubbliche, non solo donazioni o contributi dai soci, non solo entrate da enti filantropici o dal mercato privato, ma un sano mix in modo tale da non essere dipendenti da uno o pochi soggetti e quindi essere meno vulnerabili se uno di questi va, per mille motivi, in crisi. Servirebbero anche forme contrattuali con gli enti pubblici non basati sulla mera prestazione, che espone al rischio di lavoro saltuario, ma su una progettualità sociale a tutto tondo;
  • gli Enti di Terzo Settore hanno ancor più sperimentato l’importanza del radicamento territoriale, l’essere punto di riferimento locale, e quindi essere riconosciuti dai cittadini per la propria peculiare azione. Solo grazie a questo sarà possibile coinvolgere i soggetti imprenditoriali e commerciali locali in progetti di valorizzazione delle loro expertise, le fondazioni di erogazione che dovrebbero sempre più sostenere l’impegno continuativo ed evolutivo delle organizzazioni e meno i singoli progetti volatili, e le istituzioni pubbliche. A questo proposito ricordo che il D.Lgs 117/17 Codice del Terzo settore esplicita nell’articolo 55 che le amministrazioni pubbliche assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore attraverso forme di co-progettazione, non solo nell’ambito storico della programmazione sociale di zona (L.328/00) ma in tutti i settori di attività di interesse generale del Terzo settore (immaginiamo quale potenzialità di partecipazione nella definizione di piani ambientali, culturali, sanitari, …);
  • dovremmo definitivamente superare il digital divide che zavorra il Terzo settore. Il limite si è evidenziato in modo conclamato: difficoltà ad avviare procedure di lavoro da remoto perché ordinariamente non disponibili archivi in cloud, mancanza di connessioni veloci, strumentazioni, periferiche mobili e software dedicati, edifici senza sistemi di domotica avanzata, inefficienze dei sistemi energetici e climatici, … Ma soprattutto manca la cultura e l’esperienza che molte attività si possono realizzare anche a distanza con lo scopo di raggiungere più persone (formazione online, ma anche concerti e conferenze) o incontrarsi riducendo costi e tempi di spostamento (chiamate audio e video multiutenti), avere economie di scala e maggiore sostenibilità energetica. Diverse organizzazioni hanno cercato in questi giorni soluzioni tampone, ma occorrerà un investimento massiccio sia progettuale che di sviluppo organizzativo per rendere moderno il privato sociale;
  • dovremmo ripensare le nostre governance democratiche rendendole più snelle ed efficaci, capaci di prendere decisioni in tempi brevi ma anche in modo collegiale, garantendo i periodici ricambi, considerando i giovani, che sempre più si stanno affacciando nei diversi Enti del Terzo settore: le giovani generazioni hanno un approccio meno ideologico, più pragmatico e cercano di coniugare con equilibrio idealità (valori), risorse (umane ed economiche), impegno condiviso (cooperare) e tecnologia. Serviranno inoltre organizzazioni del lavoro più flessibili in cui il lavoro agile, laddove possibile, è la norma, perché impostate sui risultati più che non sulla presenza oraria.

In questo scenario e con queste possibili prospettive, quale ruolo per i Centri di Servizio al Volontariato? Sempre nella ricerca citata alla domanda “da ora in avanti, sia rispetto all’emergenza che nell’ordinario, quale tipo di supporto ritieni più urgente richiedere al CSV?” le risposte in ordine di priorità sono state: riflessioni e proposte su come il volontariato si trasformerà nel prossimo futuro, consulenza su normativa in generale e specifici decreti sull’emergenza, supporto al fundraising, ricerca di nuovi volontari, consulenza su sicurezza dei volontari (assicurazioni, gestione rischi e paure ecc.), facilitazione delle relazioni con amministrazioni pubbliche per progetti comuni, reperimento dispositivi di sicurezza, eventi di promozione della cultura del volontariato e della cittadinanza attiva, facilitazione della relazione con altri ETS per progetti comuni, consulenza su ri-programmazione e ri-progettazione delle attività, diffusione di notizie e appelli attraverso sito web, social network, newsletter ecc., formazione su gestione piattaforme on line e attività in remoto, formazione per volontari già attivi e per nuovi volontari, facilitazione della relazione con imprese per progetti comuni.

Sia la ricerca che le diverse interlocuzioni di questi mesi con moltissimi volontari e dirigenti ci restituiscono la conferma che il nostro ruolo è stare a fianco del volontariato milanese sostenendolo nel proprio agire, nel rispondere alle sette sfide prima descritte, e quindi soprattutto nell’intraprendere processi di sviluppo organizzativo e territoriale. Questo crediamo sarà possibile grazie all’offerta di supporti infrastrutturali e opportunità di servizi di qualità e flessibili, ma in modo particolare nel favorire connessioni e alleanze con i soggetti dei diversi mondi per assumere esigenze e progettualità comuni.
È una prospettiva collaborativa, evocata anche dallo scrittore Enrico Brizzi: “Non so se andrà tutto bene, né se l’emergenza ci restituirà in qualche modo migliori alla vita civile, ma d’una cosa son certo: la differenza tra un popolo e un ammasso di gente sta nella capacità di declinare il pensiero al plurale, silenziando l’io per dar voce al noi”.

Marco Pietripaoli, Direttore Ciessevi Milano

Guardando al futuro. Il Terzo settore del dopo Covid-19

Guardare avanti è la parola d’ordine di ora. Guardare avanti perché ancora non siamo “fuori dal guado” e serve energia positiva e costruttiva per non vanificare la fatica che abbiamo fatto fin qui per lottare contro questo virus. Guardare avanti perché la strada è ancora lunga e dovremo imparare a convivere con un’alternanza di picchi di infezione, con relative restrizioni sociali, e rallentamenti dei contagi con allentamenti del contenimento. Ma soprattutto guardare avanti perché niente sarà più come prima.

Giuliano Ferrara qualche giorno fa diceva che non concorda con chi considera questa situazione una opportunità di catarsi, di miglioramento della società a trecentosessanta gradi, perché a lui va già benissimo così come è: trova che il mondo di oggi gli corrisponda perfettamente. Ma qui non si tratta di giudicare quello che avevamo e pensare di tornarci ripristinando un equilibrio da non compromettere: l’equilibrio è già stato scardinato e si tratta di capire cosa ne consegue.

C’è una società nuova, da comprendere e accompagnare verso un modo nuovo di stare insieme. Ci sono nuove fragilità da individuare, ci sono nuovi poveri, con volti, caratteristiche, esigenze, linguaggi per ora sconosciuti. Nuovi problemi: sanitari, economici, sociali, che dovranno essere incontrati, compresi, gestiti da tutti: primo, secondo e terzo settore insieme. Oggi è il momento di concentrare l’azione sulla gestione della pandemia, ma anche orientare il pensiero verso la progettazione della ripartenza.

I CSV sono stati confermati, dalla riforma del Terzo settore quali “agenti di sviluppo del territorio”: in grado di tessere relazioni virtuose tra diversi soggetti per far nascere risposte efficaci ai bisogni delle comunità. CSV Milano, forte di questa rinnovata investitura legislativa, durante questa emergenza legata alla pandemia sta cercando di assumere questo ruolo di cerniera. Nel progetto #Italiakiama, nato da un’idea di Young Digitals per Kia Motors insieme a Supermercati24, il Centro di servizi per il volontariato Città metropolitana di Milano ha affiancato al mondo profit l’amministrazione pubblica (i comuni di Milano e di Opera) e il Terzo settore (Fondazione progetto Arca Onlus, Uildm sezione di Milano e Arci Milano e i loro partner in Aiutarci) in un gioco di squadra virtuoso per i fragili delle due città.

È solo un esempio, l’ultimo di una lunga serie di azioni che, anche in questo periodo, vede CSV Milano facilitare il dialogo e la connessione tra mondi differenti, uniti, attraverso il Centro, nel dare risposte immediate ed efficaci ai bisogni del momento: spesa a casa per anziani e persone con disabilità, volontari per le associazioni che stanno operando, recupero delle materie prime di esercizi commerciali chiusi, rimodulazione delle attività di formazione e consulenza attraverso l’utilizzo di nuovi strumenti on-line.

È con questa esperienza nel favorire le collaborazioni, con questa modalità di agire in sinergia con le potenzialità dei territori, con questa capacità di essere corpi intermedi tra diversi altri attori, che CSV Milano sta guardando avanti, forte del sostegno di tutti coloro che gli consentono di esserci per poter agire il proprio ruolo. Fondazione Cariplo e Fondazione Banca del Monte di Lombardia, con il loro impegno economico unico e insostituibile nel sostenere i Centri di servizio lombardi, possono trovare nei CSV una spalla fondamentale nella ricucitura delle fratture che questo momento traumatico sta generando. Insieme, uno accanto all’altro, fondazioni di origine bancaria, fondazioni comunitarie, Forum Terzo settore e Centri di servizio per il volontariato possono rappresentare un’alleanza vincente nel riprogettare, insieme alle istituzioni, nuove e rinnovate comunità.

E allora rimbocchiamoci le maniche, e guardiamo avanti insieme.

Per aggiornamenti, notizie, indicazioni su cosa fare e come aiutare vai alla rubrica Emergenza Coronavirus

WELFARE CHE IMPRESA!: il bando per le Start up sociali al servizio della comunità

Il concorso Welfare che impresa!, giunto alla quarta edizione, nasce per supportare progetti di welfare di comunità promossi da start up sociali in grado di produrre benefici in termini di sviluppo locale.

In particolare vuole sostenere e promuovere iniziative di imprenditorialità giovanile in grado di attivare reti multistakeholder, capaci di produrre benefici concreti per la comunità, e alimentare una progettualità orientata alla generazione di impatto sociale e alla sua misurazione.

Il primo progetto classificato vincerà 40.000 euro a fondo perduto, il secondo, terzo e quarto classificato 20.000 euro.
Potranno inoltre accedere ad un finanziamento a tasso zero erogato da UBI Comunità fino a 50.000 Euro con conto corrente gratuito
per 36 mesi.

La scadenza per presentare i progetti è il 20 aprile.

Vai al bando su: www.welfarecheimpresa.ideatre60.it
Guarda il video di presentazione

Perché trasformare spazi anonimi o abbandonati in luoghi di comunità

Negli anni ’90 la dimensione della Comunità è stata posta al centro di un serrato confronto esperienziale e culturale.

Era una dimensione in forte crisi a fronte allo sgretolamento dei rapporti sociali, all’individualismo, alla solitudine, ai problemi delle periferie urbane, … problemi di allora?

Lo sono diventati ancor di più oggi con la crisi economica del 2008 che, come ci ricorda Mauro Magatti, è essenzialmente una crisi di valori, maturata negli anni precedenti e poi manifestatasi nei primi anni 2000 con il tracollo finanziario da cui non ne siamo ancora usciti …, ma non siamo ancora usciti, neppure dalle cause che l’hanno innescata.

La comunità è una dimensione che deve essere ripensata e riformulata sulla base di riflessioni che fanno riferimento a piani differenti che interagiscono nella vita delle persone e tra le persone (identità, relazioni, riferimenti spazio-temporali, progettualità, …). Senza idealizzare la comunità, essa stessa piena di contraddizioni, conflitti, prevaricazioni, …

Senza dimenticare che oggi non si è solo “comunità locale”, ma ognuno di noi grazie alla globalizzazione delle relazioni e delle possibilità di comunicazione in tempo reale (internet, smartphone, viaggi più facili) può vivere forti appartenenze a “comunità globali” con differenti identità culturali, professionali, ideali, … anche stando a migliaia di chilometri di distanza. Sia comunità che costruiscono comunità inclusive che comunità che costruiscono esclusione.

Occorre (ri)imparare a vivere e lavorare nella comunità. Non esiste una disciplina, una scienza specifica che studia la comunità. Riflettere e capire la comunità necessita di un approccio olistico e interdisciplinare.

Fare comunità è questione di ….

  • antropologia, come le collettività umane si manifestano
  • sociologia, come gli uomini si organizzano per vivere nella società
  • psicologia, come le relazioni umane si incontrano e si scontrano, si sostengono e si modificano
  • economia, come lo sviluppo imprenditoriale connota le peculiarità di un ambiente e di gruppi di persone
  • politica, come si concretizzano le politiche sociali redistributive delle ricchezze locali
  • architettura e urbanistica, come si abita un territorio geografico, con storia e futuro
  • cultura, come gli uomini raccontano la propria storia ed esistenza in riferimento alla propria comunità.

Segnalo alcuni riferimenti nati negli anni ’90.

Augé Marc, antropologo, ci ricorda l’importanza identitaria dei luoghi in cui si sviluppa comunità (la percezione dello spazio e del tempo). Ma attenzione, se lo spazio e l’uso del tempo risultano sempre uguali pur in diversi contesti, si hanno dei “nonluoghi”: il contrario della dimora, della residenza, dei luoghi della comunità, di un “luogo”.

I “nonluoghi” sono le infrastrutture per il trasporto veloce (autostrade, autogrill, stazioni, aeroporti), i mezzi di trasporto, i supermercati, gli alberghi delle grandi catene internazionali, ma anche i campi profughi dove sono parcheggiati a tempo indeterminato i rifugiati.

I “nonluoghi”, sono gli spazi dell’anonimato, ogni giorno più numerosi, frequentati da individui diversi ma considerati simili, ma soli.

Zygmunt Bauman, noto sociologo mondiale, ci segnalava come nel mondo dell’insicurezza globale, tornava con forza il bisogno di comunità, come strumento per difendersi.

La continua ricerca di equilibrio tra libertà e condivisione, tra individuo e comunità, è il destino dell’uomo verso la realizzazione di una vita soddisfacente (che sia potente e affermato, oppure povero e sconfitto).

Ma attenzione, la ricerca di una “propria comunità locale” impersonificata da un territorio abitato dai propri membri è la via d’uscita oppure non rischia piuttosto di divenire un “ghetto volontario”?

Eppure è nella sicurezza della propria identità, e del riconoscersi in essa, che si può permette il dialogo tra culture diverse. Stiamo infatti verificando 20 anni dopo che non è facebook il luogo del dialogo tra culture diverse.

La psicologia di Comunità, il lavoro di comunità, non è solo una pratica sociale che prevede l’impiego di modelli e metodologie, ma anche un modo di concepire il lavoro sociale.

Lo sviluppo di comunità permette di sostenere i processi di responsabilizzazione dei membri di una comunità e l’impiego delle loro competenze/risorse per la soluzione dei problemi.

Attivare collaborazione e partecipazione tra i cittadini, promuovere relazioni fiduciarie, sostenere il capitale sociale, sono tutte azioni con una portata che va oltre il contenuto specifico, e propongono una vera a propria visione della società.

Mai come negli ultimi anni il tema dello sviluppo locale ha preso atto della varietà di assetti economici, di cui è popolato il nostro Paese. Eppure questa ricchezza è stata ai margini delle politiche economiche istituzionali. C’è da percorrere un cammino verso il riconoscimento del ruolo insostituibile svolto dalle comunità locali e dai loro protagonisti: capaci contemporaneamente di relazioni locali e di reti immateriali globali, di produzione economica e di prossimità e coesione sociale.

Ad esempio, il 20% della popolazione italiana vive nelle 4 grandi aree metropolitane (Roma Milano Napoli Torino), così come il 20% della popolazione abita le aree interne però rappresentate dal 50% dei Comuni italiani. Eppure le politiche di sviluppo economico, differenziate per aree territoriali, in Italia stentano a svilupparsi.

Richard Sennet ci sollecitava a ripensare le relazioni sociali e le politiche di welfare rileggendo la propria vita e le proprie esperienze.

Occorre porre al centro le modalità di formazione delle identità individuali e collettive a partire dal rispetto di sé e degli altri. Spesso gli utenti del welfare si lamentano di essere trattati con poco rispetto. Ma la mancanza di rispetto che sperimentano non è dovuta semplicemente al fatto che sono poveri, vecchi o malati. La società moderna manca di manifestazioni concrete ed efficaci di rispetto e di riconoscimento per gli altri.

Come tenere insieme la garanzia dell’uguaglianza e il rispetto delle differenze di ciascuno?

Occorre ripensare un welfare differenziato che permetta a chi riceve sostegno sociale di percepirsi come soggetto che a pieno titolo partecipa alla definizione delle proprie condizioni di vita.

A fronte di una netta deterioramento della qualità urbanistica, ambientale e sociale di quasi tutte le città (sia nei cosiddetti paesi sviluppati che “in via di sviluppo”) negli anni ’90 c’erano i primi urbanisti futurologhi, come Raymond Lorenzo, che indicavano che sarebbe stato necessario costruire città “sostenibili” prestando attenzione alla qualità dell’ambiente urbano e naturale, ma soprattutto alla comunità locale, da coinvolgere direttamente nelle decisioni progettuali urbanistiche e architettoniche, perché soli i cittadini che vivono un territorio conoscono le loro esigenze e possono dare indicazioni utilissime agli architetti per predisporre soluzioni veramente vivibili.

E poi dentro ogni quartiere vi sono mille storie che costruiscono la vera storia e la cultura di un quartiere. Scandiscono la vita della comunità e la quotidianità dei suoi abitanti: tra gioie, passioni, collaborazioni, ma anche ansie, soprusi, paure e disperazioni che consentono all’umanità, che popola il dedalo di vie, case, palazzi del mondo, di costruire culturalmente le varie dimensioni comunitarie. In ogni territorio/comunità del mondo.

Negli anni ’90 questi erano sette approcci paralleli, di fatto separati.

Poi è venuta la grande e lunga crisi.

Poi la diffusa consapevolezza dell’emergenza ambientale; anche se già nel 1992 si tenne a Rio de Janeiro la prima Conferenza mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo che produsse alcuni accordi internazionali tra cui la famosa Agenda 21.

Oggi finalmente si coglie che, solo in una prospettiva integrata di Sviluppo Sostenibile, forse si può trovare l’equilibrio tra individuo e comunità.

Erano e sono sette approcci diversi: solo perdendosi in mille storie e situazioni locali e globali e solo riallacciando con pazienza i diversi fili disciplinari, comprenderemo il significato della “nostra comunità” e potremo riconoscere il valore delle comunità del mondo.

In questo contesto, i governi dei 193 Paesi membri dell’ONU nel settembre 2015 hanno sottoscritto l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. È un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità che prevede 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs) con 169 target e più di 240 indicatori.

La situazione è oggettivamente molto complessa e pericolosa per noi e per il nostro pianeta e, come ci ricorda Enrico Giovannini portavoce dell’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile, il rischio è che noi ci sediamo e ci culliamo di Retrotopia: è il guardare il passato per rassicurarci circa un futuro incerto e fonte di preoccupazione. Non vi è dubbio che molto spesso oggi chiudiamo gli occhi di fronte a quanto avviene (il terrorismo o le minacce nucleari coreane o il corona virus) e ripensiamo ad anni passati che crediamo siano stati più rassicuranti. Non è per niente vero.

Ma di sicuro il nostro futuro sarà pieno di shock perché stiamo consumando troppo il nostro mondo che non riesce a rigenerarsi a sufficienza.

Ma l’Utopia sostenibile è che nessuno rimanga indietro grazie al fatto che vi sia una vera sinergia tra i quattro capisaldi della sostenibilità: ambientale, sociale, economica e istituzionale.

E questo non può che avvenire se non a partire dalla terra, dai luoghi costruiti o naturali.

In passato si identificava lo spazio con la urbs, in termini materiali, città delle pietre, in contrapposizione con lo spazio naturale.

Più recentemente, a seguito della crisi economica/finanziaria/valori ricordata, da un lato si sono moltiplicati i “nonluoghi” anonimi, dall’altro sono via via emersi luoghi via via abbandonati che sono tornati ad essere spazi senza vita. Pensiamo alle caserme vuote, alle scuole chiuse per denatalità, a capannoni e industrie dismesse, a strutture degli ordini religiosi non più utilizzate, ai beni confiscati alla criminalità organizzata, …

Oggi serve una nuova rigenerazione urbana che a fianco del recupero edilizio porti anche un recupero di socialità.

Oggi serve una nuova progettualità, carica di comunità, utile per far rivivere gli spazi vuoti e abbandonati per farne luoghi veri, vivi, pieni di senso.

Secondo me non è un caso che in questo quartiere di Porta Nuova gli unici due luoghi antichi e abbandonati sono stati recuperati dal Terzo settore: l’ex magazzino ferroviario ristrutturato dalla Fondazione Catella e la trattoria e poi Albergo Isolabella di cui si è appena avviata la ristrutturazione per farne VOCE a cura di Ciessevi.

Il Terzo settore ha la sensibilità e la capacità di far rivivere “spazi” per trasformali in “luoghi”.

Il luogo si stacca da una logica solo geografica e corrisponde ad una identità socio-culturale. La Civitas. La Città delle anime, fatte di persone, città fatte di relazioni. I territori in questa logica, sono di fatto l’elemento in cui si sperimenta il nuovo, dove si cerca di compenetrare ambiente costruito ed ambiente naturale, sono il contenitore dove le innovazioni sociali vengono messe in atto. Sono laboratori di sperimentazioni in cui si prova a dare risposte nuove ai bisogni emergenti. Ma i luoghi non sono solo contenitore di qualcosa che accade, sono anche motore di quel qualcosa che accade.

Il luogo vero attrae esigenze e bisogni, capitali e risorse. Che non sono di per sé immediatamente disponibili. Sono esigenze e risorse che per essere disponibili e per essere messe a frutto devono essere mediati da persone e da organizzazioni.

Nel passaggio da spazi a luoghi si viene a creare l’economia di relazioni. Dove la dimensione relazionale è l’infrastruttura del valore che quei soggetti economici del territorio (istituzionali, di profitto o di donazione) possono produrre.

E la dimensione relazionale è sense making. Dà senso a ciò che si fa. E dà energia all’azione. Un conto è dire “faccio cose, vedo gente”. Un conto è dire faccio cose che portano, nel lungo periodo, ad un certo valore aggiuntivo. Sono prospettive completamente diverse, non solo in termini soggettivi.

Pensare assieme i luoghi aiuta ad abitarli. Non è questione di qualcuno che viene e ti legge il tuo territorio. Ma è la comunità e chi abita quei luoghi che si domanda e legge e riflette su sé stessa. Costruire una visione strategica di lungo periodo aiuta ad abitare i luoghi. Abitarli con intenzionalità è riuscire a costruire una visione strategica, anche in termini di creatività e di impatto sociale. Intenzionalità è: voglio agire un cambiamento, cioè voglio cambiare la connotazione e la produzione di valore di quel luogo. E scelgo di farlo, non da solo.

Come ci ricordano recentemente Paolo Venturi e Flaviano Zandonai, il luogo è legato a 3 concetti: l’innovazione sociale, l’imprenditorialità e lo sviluppo.

  • l’innovazione sociale si nutre dei territori, dei quartieri e delle periferie come oggetti geografici in cui si attivano processi di innovazione sociale. processi che tentano, a partire dalle risorse di cui quel territorio dispone, di rispondere ai bisogni che emergono
  • il successo imprenditoriale è correlato alla dimensione di luogo. Non sono le imprese competitive a rendere il luogo competitivo. La dimensione di contesto oggi è fondamentale e in qualche modo va misurata e valutata.
  • lo sviluppo si lega ai luoghi perché attraverso qualità relazionali e norme sociali si riesce a fare sviluppo. (Sviluppo nel senso della definizione di Zamagni – togliere i viluppi, togliere le catene che legano un territorio rispetto alla sua capacità di produrre valore). Capacità di produrre sviluppo è la capacità anche di contrastare le disuguaglianze di tipo sociale, economico, ecc

Ma oggi le comunità hanno bisogno di luoghi ma anche di infrastrutture sociali, cioè di luoghi che diventano a loro volta moltiplicatori. Un luogo diventa infrastruttura sociale quando:

  • è ad uso comune, non c’è esclusività, è uno spazio fatto di relazioni, connotato da apertura, luogo in cui nessuno è escluso
  • è rigenerato esso stesso dai legami sociali di chi lo vive e lo popola
  • ha la capacità di generare comunità, non sono estrattivo per produrre valore esclusivo, ma mette a frutto e restituisce moltiplicato.

Tutto questo possiamo leggerlo in quei luoghi capaci di trasformare, vitalmente, nel lungo periodo anche il contesto intorno.

Questo è quello che possiamo augurare a VOCE e a tutti coloro che vorranno collaborare a costruirlo insieme.

Marco Pietripaoli

Direttore CSV Milano

Febbraio 2020

Piccola bibliografia di riferimento

Marc Augé, Nonluoghi. Introduzione ad una antropologia della surmodernità, Eleuthera, Milano 1993
Zygmunt Bauman, Voglia di Comunità, Laterza, Bari 2001
Giuseppe De Rita e Aldo Bonomi, Manifesto per lo sviluppo locale, Dall’azione di comunità ai Patti territoriali, Bollati Boringhieri, Torino 1998
Enrico Giovannini, L’utopia sostenibile, Laterza, Bari 2018
Papa Francesco, Laudato si’. Sulla cura della casa comune, Piemme 2015
Mauro Magatti, Cambio di Paradigma. Uscire dalla crisi pensando al futuro, Feltrinelli, Milano 2017
Nagib Mahfuz, Il nostro quartiere, Fertrinelli, Milano 1989
Elvio Raffaello Martini, Fare lavoro di comunità. Riferimenti teorici e strumenti operativi, Carocci, Roma 2003
Lorenzo Raymond, La città sostenibile. Partecipazione, luogo, comunità, Eleuthera, Milano 1998
Ennio Ripamonti, Collaborare. Metodi partecipativi per il sociale, Crocci Faber, Roma 2011
Marianella Sclavi e Lawrence Susskind, Confronto creativo. Come funzionano la co-progettazione creativa e la democrazia deliberativa. Perché ne abbiamo bisogno, IPOC, Milano 2016
Richard Sennet, Rispetto. La dignità umana in un mondo di diseguali, Il Mulino, Bologna 2004
Paolo Venturi e Flaviano Zandonai, Dove. La dimensione di luogo che ricompone impresa e società, Egea, Milano 2019