Guardando al futuro. Il Terzo settore del dopo Covid-19

Guardare avanti è la parola d’ordine di ora. Guardare avanti perché ancora non siamo “fuori dal guado” e serve energia positiva e costruttiva per non vanificare la fatica che abbiamo fatto fin qui per lottare contro questo virus. Guardare avanti perché la strada è ancora lunga e dovremo imparare a convivere con un’alternanza di picchi di infezione, con relative restrizioni sociali, e rallentamenti dei contagi con allentamenti del contenimento. Ma soprattutto guardare avanti perché niente sarà più come prima.

Giuliano Ferrara qualche giorno fa diceva che non concorda con chi considera questa situazione una opportunità di catarsi, di miglioramento della società a trecentosessanta gradi, perché a lui va già benissimo così come è: trova che il mondo di oggi gli corrisponda perfettamente. Ma qui non si tratta di giudicare quello che avevamo e pensare di tornarci ripristinando un equilibrio da non compromettere: l’equilibrio è già stato scardinato e si tratta di capire cosa ne consegue.

C’è una società nuova, da comprendere e accompagnare verso un modo nuovo di stare insieme. Ci sono nuove fragilità da individuare, ci sono nuovi poveri, con volti, caratteristiche, esigenze, linguaggi per ora sconosciuti. Nuovi problemi: sanitari, economici, sociali, che dovranno essere incontrati, compresi, gestiti da tutti: primo, secondo e terzo settore insieme. Oggi è il momento di concentrare l’azione sulla gestione della pandemia, ma anche orientare il pensiero verso la progettazione della ripartenza.

I CSV sono stati confermati, dalla riforma del Terzo settore quali “agenti di sviluppo del territorio”: in grado di tessere relazioni virtuose tra diversi soggetti per far nascere risposte efficaci ai bisogni delle comunità. CSV Milano, forte di questa rinnovata investitura legislativa, durante questa emergenza legata alla pandemia sta cercando di assumere questo ruolo di cerniera. Nel progetto #Italiakiama, nato da un’idea di Young Digitals per Kia Motors insieme a Supermercati24, il Centro di servizi per il volontariato Città metropolitana di Milano ha affiancato al mondo profit l’amministrazione pubblica (i comuni di Milano e di Opera) e il Terzo settore (Fondazione progetto Arca Onlus, Uildm sezione di Milano e Arci Milano e i loro partner in Aiutarci) in un gioco di squadra virtuoso per i fragili delle due città.

È solo un esempio, l’ultimo di una lunga serie di azioni che, anche in questo periodo, vede CSV Milano facilitare il dialogo e la connessione tra mondi differenti, uniti, attraverso il Centro, nel dare risposte immediate ed efficaci ai bisogni del momento: spesa a casa per anziani e persone con disabilità, volontari per le associazioni che stanno operando, recupero delle materie prime di esercizi commerciali chiusi, rimodulazione delle attività di formazione e consulenza attraverso l’utilizzo di nuovi strumenti on-line.

È con questa esperienza nel favorire le collaborazioni, con questa modalità di agire in sinergia con le potenzialità dei territori, con questa capacità di essere corpi intermedi tra diversi altri attori, che CSV Milano sta guardando avanti, forte del sostegno di tutti coloro che gli consentono di esserci per poter agire il proprio ruolo. Fondazione Cariplo e Fondazione Banca del Monte di Lombardia, con il loro impegno economico unico e insostituibile nel sostenere i Centri di servizio lombardi, possono trovare nei CSV una spalla fondamentale nella ricucitura delle fratture che questo momento traumatico sta generando. Insieme, uno accanto all’altro, fondazioni di origine bancaria, fondazioni comunitarie, Forum Terzo settore e Centri di servizio per il volontariato possono rappresentare un’alleanza vincente nel riprogettare, insieme alle istituzioni, nuove e rinnovate comunità.

E allora rimbocchiamoci le maniche, e guardiamo avanti insieme.

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Il cantiere di VOCE a Striscia la notizia

È andata in onda sabato 4 aprile su Striscia la Notizia, nell’ambito della rubrica “Occhio al futuro, quando industria e ambiente convivono”, l’intervista di Cristina Gabetti a Fabio Gerosa, presidente di Fratello Sole, uno dei partner strategici del progetto VOCE.

E proprio nel cantiere di VOCE è stata registrata alcune settimane fa l’intervista.

La rubrica, in onda su Striscia la Notizia dal 2014, nasce per raccontare idee e tecnologie innovative in grado di migliorare il futuro delle nostre comunità, avendo come primo riferimento i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU.

Fratello Sole è stato chiamato a partecipare portando la sua esperienza unica nel panorama italiano. A partire dal progetto di VOCE Fabio Gerosa ha raccontato in che cosa consiste l’attività di Fratello Sole, qual è il suo metodo di lavoro e il valore aggiunto che offre ai suoi soci.

Un’occasione davvero unica per parlare di transizione energetica per il Terzo Settore a un pubblico enorme e, allo stesso tempo, comunicare il valore della partnership del progetto VOCE: sono oltre 5.500.000 gli spettatori che ogni giorno seguono il programma di Antonio Ricci.

Guarda l’intervista completa

Coronavirus: gli anziani disabili vittime innocenti

Quella delle persone anziane con disabilità e fragilità è un’emergenza nell’emergenza.
Un dramma silenzioso che ogni giorno ha un prezzo altissimo: sono davvero tanti gli anziani disabili che sono morti e continuano a morire soli nelle loro case o nelle case di riposo senza poter avere accesso alle cure necessarie.

E chi è loro vicino, parenti e operatori sociosanitari, non può fare nulla, se non assistere impotente a questa grande, enorme ingiustizia.

Per questo condividiamo con convinzione e pubblichiamo di seguito l’appello lanciato dal Forum Terzo Settore Lombardia, Ledha, Uneba Lombardia, Alleanza Cooperative Italiane-Welfare Lombardia.

«Questa volta gli innocenti non sono bambini, ma persone anziane con disabilità. Ma muoiono lo stesso, a centinaia. Tanti a casa a loro, molti di più nelle residenze socio-sanitarie regionali. Sono le persone con disabilità e fragilità, soprattutto anziane ma non solo, a cui in queste settimane è stata negata ogni forma elementare di difesa dal Covid19 e che ora stanno pagando con la vita questa negligenza.

A queste persone, infatti, una volta contratta la malattia, viene negato l’accesso ai pronto soccorso e agli ospedali, lasciandole morire nei loro letti. Muoiono nelle case o nei servizi residenziali, senza poter avere accesso a tutte le cure a cui vengono invece sottoposte le persone che riescono ad essere ricoverate. Viene attuato così, in modo silenzioso, quanto già previsto dalle “linee guida” degli anestesisti italiani: di fronte alla carenza di posti letto in terapia intensiva viene data la precedenza alle persone giovani e senz’altre patologie rispetto a quelle anziane con patologie pregresse.

Le persone che li assistono, si tratti di parenti o di operatori sociosanitari, rimangono ancora sprovvisti delle mascherine e dei dispositivi di protezione necessari per evitare di contagiare e di essere contagiati. Anche nella distribuzione “pubblica” dei DPI, infatti, sono state privilegiate, sinora, le strutture sanitarie rispetto a quelle sociosanitarie.

Sono persone che muoiono nel silenzio: spesso non rientrano neanche nel conteggio dei “decessi per Covid19” perché a loro è stato negato anche il diritto alla diagnosi, prima ancora che al trattamento e alla cura, come già alcuni sindaci stanno denunciando. Persone che, si dice, “sarebbero morte lo stesso” e che invece, lo sappiamo e lo dicono anche le statistiche, se curate in modo adeguato avrebbero potuto continuare a vivere chi per uno, chi per due, chi per dieci o vent’anni.

Non vi è nulla di naturale in questa scelta crudele di sacrificare le persone più fragili, illudendosi così di salvare quelle più forti. Con le loro vite stiamo sacrificando anche la nostra dignità, la dignità di ognuno di noi. Per alcuni, per molti di loro, siamo ancora in tempo a cambiare rotta. Facciamolo!

Forniamo subito agli enti gestori tutti i presidi di protezione, i medici, i farmaci necessari per garantire diagnosi e cure tempestive. Permettiamo alle persone con disabilità di qualunque età di poter accedere, almeno in condizioni di parità rispetto al resto della popolazione, alle terapie intensive quando utile e necessario.

Non neghiamo a nessuno la speranza e la possibilità di poter guarire e vivere”.